Non l’ho visto e non mi piace. L’approfondita e raffinata critica liturgico-architettonica elaborata da Francesco Colafemmina sul nostro lavoro di Alba

4 agosto 2010 § 9 commenti

Chiediamo perdono a Francesco Colafemmina, autore del blog Fides et Forma, per non esserci subito accorti del lungo post che già nello scorso Gennaio aveva dedicato al nostro progetto di adeguamento liturgico della Cattedrale di Alba. Il giudizio espresso nel post, nonchè nei “garbati” commenti degli utenti, non è positivo, anzi. Rispettosi del pensiero di chiunque, sebbene affatto avvezzi allo “stile” e al linguaggio che il post ostenta, lo segnaliamo comunque volentieri, evitando tuttavia, non se ne abbia a male l’autore, di rispondere a ciò che risposta non sollecita nè richiede.

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§ 9 risposte a Non l’ho visto e non mi piace. L’approfondita e raffinata critica liturgico-architettonica elaborata da Francesco Colafemmina sul nostro lavoro di Alba

  • Francesco Colafemmina ha detto:

    Carissimi,

    solo per farvi presente che nel post sono indicate una serie di domande. Ora, queste domande effettivamente vengono rivolte non agli architetti bensì alle autorità ecclesiastiche.

    Visto però che sarei curioso di capire un po’ di cose, perché non spiegate ad un ignorante come me la ragione per cui l’altare debba essere trasferito nel transetto?

  • ctonia ha detto:

    Gentile Francesco,
    troppo facile risponderle che avrebbe potuto proporci qualunque interrogativo anche prima di inoltrare i suoi variegati vituperi. Avrebbe evitato il rischio, poi tramutatosi in realtà, di cadere ripetutamente in approssimazioni tanto inutili quanto errate.
    Da parte nostra – fatte salve eventuali osservazioni ulteriori del nostro capogruppo Arch. Valdinoci e degli altri colleghi, che saremo lieti di ospitare in questo spazio – siamo comunque ben felici di precisare quanto segue:
    1) La decisione di “abbandonare” l’antico presbiterio, fortemente sopraelevato, a livello locale era stata maturata già da tempo. Da alcuni anni, infatti, le liturgie celebrate in cattedrale si incentravano su un nuovo presbiterio posticcio, ricavato ai piedi dello scalone antico e realizzato in legno rivestito di moquette grigia. Ai partecipanti al concorso spettava dunque ricercare una soluzione architettonicamente ed esteticamente dignitosa che incarnasse decisioni e consuetudini già assodate, peraltro chiaramente espresse nella documentazione fornita dall’ente banditore.
    2) Preso atto di questo, va da sè che l’architettura ha le sue regole, nelle quali anche i concetti di “distanza” e “identità” dell’elemento architettonico hanno la loro importanza. La coppia di pilastri lobati tra i quali abbiamo collocato il nuovo altare rappresenta non solo, a nostro avviso, l’ultima e più significativa “soglia” architettonica dello spazio della navata (e Lei ci insegna che proprio questo sta a significate l’altare: “soglia ultima” che rimanda ad Altro, al Luogo del Padre), ma anche un luogo “storicamente” significativo, poichè proprio in quei paraggi sono emerse tracce archeologiche riconducibili, secondo alcuni esperti, ad un vecchio altare forse dotato di ciborio (l’adeguamento si configura come ultima tappa di un lungo lavoro di restauro architettonico e archeologico che ha interessato tutto l’edificio). Come ciò possa tradurre in spazio “centrale” un impianto architettonico decisamente orientato e di matrice basilicale, dovrebbe invece spiegarlo Lei.
    3) Concordiamo con Lei sul fatto che del tema degli adeguamenti liturgici sia utile parlare e anzi si debba parlare. Non se ne abbia a male, tuttavia, se sottolineiamo che la Sua “vis polemica”, portata sino al dileggio della persona del vescovo Dho e ad una ipertrofica aggettivazione negativa del nostro lavoro (“orrore”, “sconcio”, “mostruoso”, “pacchiano”, “scempio” etc. etc.) non aiuta, poichè si limita ad alimentare una tensione che gli addetti al mestiere conoscono bene e che ad oggi ha solo esacerbato gli animi, moltiplicando gli interventi puramente ideologici e accrescendo il divario tra le diverse “fazioni”. A noi le fazioni interessano poco, anzi nulla, soprattutto se orientate a rinfocolare l’assurda diatriba tra “tradizionalisti” e “modernisti”. L’unico nostro obiettivo è quello di porre le nostre specifiche competenze al servizio della Chiesa, con tutti i limiti che la nostra umanità comporta e la complessa macchina di un cantiere impone.
    4) La totalità degli edifici ecclesiastici di valore storico giunti fino a noi ha subito, per forza di cose, numerosi “adeguamenti liturgici”. Anticamente si operavano peraltro interventi ben più drastici, che spesso implicavano la trasformazione della stessa struttura architettonica dell’edificio. La nostra attuale sensibilità nei confronti della storia ci impedisce, fortunatamente, di fare altrettanto, ma il problema resta: la chiesa è uno spazio vitale destinato ad evolversi, non sempre in modo indolore, con la liturgia. A noi il compito di trovare, di volta in volta, il miglior compromesso possibile tra esigenze liturgiche e struttura dello spazio. L’introduzione di scenografici altari tridentini in basiliche absidate nate per ospitare tutt’altra liturgia non è stata forse uno “strappo”? E come commenterebbe il panorama estremamente variegato delle antiche basiliche siriache?
    5) Il velario luminoso non è altro che la traduzione in “forma”, attraverso un linguaggio volutamente contemporaneo, di una “figura” antica: la corona di luce, il velario, il baldacchino, il ciborio e tutto quell’insieme di elementi, liberamente oscillanti tra il materiale e l’immateriale, che nel corso della storia hanno voluto alludere all’epiclesi e al conseguente “irrompere” dello Spirito Santo. Gli esperti di architettura coglieranno senz’altro echi e rimandi ulteriori, traccia inevitabile di quel personale bagaglio di conoscenze che ogni architetto porta con sè e coltiva con passione, ma non è utile nè vitale che siano resi noti. Siamo fermamente convinti che l’arte autentica, inclusa quella liturgica, non possa che aderire allo spirito del proprio tempo, e che l’imitazione degli “stili” del passato (lo stesso parlare di “stile” è ben poca cosa, Lei ci insegna, rispetto al parlare di “figure”) non sia meno discutibile della gratuita “trovata” modernista.
    6) La Diocesi di Alba ha pubblicato un bel catalogo dei progetti di concorso, che raccomandiamo volentieri alla sua attenzione. Le suggeriamo, inoltre, di prendere visione “dal vivo” del progetto realizzato e del modo in cui esso cerca di aderire alle esigenze della liturgia: molti dei suoi interrogativi, frutto di palesi incomprensioni, troverebbero rapidamente risposta. Noi restiamo comunque a disposizione, ci piace discutere, e crediamo che il civile confronto sia l’unica strada sicura per produrre quella buona e bella arte liturgica di cui c’è urgente bisogno.

  • Francesco Colafemmina ha detto:

    Grazie per la risposta. Ma a parte esprimere opinioni personali credo che gli adeguamenti liturgici vadano letti alla luce dei documenti della Chiesa e del magistero petrino.

    Visto che, a vostro parere, la liturgia va riadattata a seconda delle epoche, e che lo spostamento del presbiterio nel transetto è cosa “fisiologica” (ma mai normata dalla Chiesa Cattolica), vi chiederei cosa ne pensate dell’ “adeguamento liturgico” della Cappella Paolina in Vaticano, dove il Papa ha fatto ricostruire un altare preconciliare. O della prassi liturgica di Benedetto XVI che celebra in privato e in cappella Sistina e Paolina, rivolto al Signore e non “al popolo”.

    I documenti della CEI sull’adeguamento liturgico sono superati! Non so se sapete ma la Sacramentum Caritatis del 2007 obbliga i Vescovi a mantenere i tabernacoli negli altari maggiori antichi e a non porvi le sedi dei celebranti davanti.

    Ora, c’è qualche Vescovo che rispetti le norme varate dal Pontefice?

    Allora se vogliamo sposare ideologie storicistiche anche in ambito liturgico siamo liberi di farlo, ma non possiamo con questo “interpretare” il pensiero della Chiesa che – non a caso – in nessun documento conciliare e postconciliare ha mai parlato della necessità di demolire i presbiteri e di ancorarli al luogo dell’adunanza dell’assemblea. Sono queste teorie sviluppate e propagandate da singoli uomini di Chiesa e mai scritte nero su bianco se non da una conferenza episcopale nazionale, la quale – per quanto mi consta – dovrebbe venir dopo il magistero Petrino. Quindi cominciamo a studiarci la sacramentum caritatis…

  • ctonia ha detto:

    Gentile Sig. Colafemmina, a noi pare che sia proprio lei, certamente in buona fede, a proporre opinioni personali, e abbiamo anche l’impressione che l’insistenza su questioni che ci pareva di aver già chiarito testimoni una limitata disponiblità a un confronto sereno e libero da preconcetti.

    Avendo dedicato un’ampia fetta della nostra vita all’approfondimento dell’architettura liturgica, possiamo assicurarle di essere ben informati in materia, e a tal proposito non possiamo fare a meno di notare, a titolo di esempio, che la sua lettura di Sacramentum Caritatis 69, risente, evidentemente, di suoi personali convincimenti: ammetterà, infatti, che il termine “obbligo” non vi compare affatto, e che il riferimento alla “disposizione architettonica dell’edificio sacro”, così come il successivo invito a progettare apposite Cappelle del Santissimo nelle chiese di nuova edificazione, lasciano chiaramente intendere quanto sia importante una ponderata valutazione di ciascun caso specifico, poichè nessuna soluzione architettonica può essere applicata in modo pedissequo e ciascun edificio, specie se antico e ampiamente rimaneggiato, è un universo a sè stante da interpretare e valorizzare con la massima sensibilità liturgica e architettonica. Ecco perchè, a differenza di quanto moltissimi bramerebbero, stabilire regole univoche e categoriche in materia di arte sacra è pressochè impossibile: con buona pace di chi vorrebbe poter dormire sugli allori, liberandosi dalla fatica di scegliere e elaborare, di volta in volta, il progetto che incarni il miglior compromesso possibile tra le esigenze in gioco; e con buona pace di quei tantissimi che non aspettano altro che un ferreo elenco di prescrizioni da poter scagliare, a mo’ di arma letale, contro chi coltiva una sensibilità religiosa diversa dalla loro.

    Come già anticipato, a noi questi giochi di squadra interessano pochissimo, e siamo anzi piuttosto orgogliosi della multiforme varietà di soluzioni architettonico-liturgiche che la tradizione della nostra Chiesa ha prodotto nel corso dei secoli. L’unità va ricercata, ci mancherebbe altro, per tutto ciò che riguarda i fondamenti della fede, ma innumerevoli altre questioni possono essere serenamente e ottimamente valutate, nel rispetto del magistero, con libertà e carità, come lo stesso Benedetto XVI sta ampiamente dimostrando.

    Ciò che abbiamo scritto in materia di liturgia, aggiungiamo, non coincide affatto con quanto lei ha voluto intendere: l’arte del celebrare non “va” riadattata a seconda delle epoche come se si trattasse di una moda o di un obbligo irrinunciabile teso ad evitare accuse di passatismo, ma si rinnova naturalmente e spontaneamente per il fatto stesso di essere materia viva, cuore pulsante di una vita comunitaria autentica. Il trasferimento del presbiterio nel transetto, dunque, non è affatto una questione “fisiologica”, ma semplicemente una soluzione di compromesso che un particolare Vescovo ha ritenuto di dover applicare all’interno della sua catedrale: e lei saprà, come lo sappiamo noi, che lo stesso articolo che lei cita afferma, proprio in chiusura: “il giudizio ultimo su questa
    materia spetta, comunque, al vescovo diocesano.” A tal proposito dovremmo dunque chiederle: che valore darebbe a quest’ultima frase, che è pur sempre espressione del pensiero di Sua Santità? E che valore darebbe allo stato d’animo con cui presidente e fedeli partecipano alla liturgia?
    Noi non nutriamo affatto la presunzione di poter interpretare esattamente, caso per caso, ciò il Pontefice desidererebbe fosse fatto, ma quel che è certo è che i numerosissimi testi da lui pubblicati esprimono un indirizzo di pensiero straordinariamente lucido, lungimirante e aperto: molto più aperto di quanto tanti interpreti, peraltro a loro esclusivo uso e consumo, vorrebbero far apparire. Più che esplicito, in tal senso, quanto Benedetto XVI ha scritto, a proposito di orientamento, in quel capolavoro che è “Introduzione allo Spirito della Liturgia”, dichiarato omaggio a Romano Guardini:”Si dovrebbe allora cambiare tutto? Niente è più dannoso per la liturgia che il mettere continuamente tutto sottosopra (…). Dove non è possibile rivolgersi insieme verso oriente in maniera esplicita, la croce può servire come l’oriente interiore della fede”.

    Una precisazione anche a proposito delle due celebri Note Pastorali: non sono affatto superate; più semplicemente, avevano un obiettivo diverso e ben più circoscritto di quello che lei vorrebbe attribuire loro, ed è anzi innegabile che abbiano rappresentato e rappresentino, pur con tutti i limiti del caso (il dibattito e gli studi sono in piena evoluzione), un ottimo contributo in materia di riacquisizione del senso e del significato dei singoli luoghi dello spazio liturgico. Il fatto poi che a distanza di circa un quindicennio possa esserci molto da limare e risistemare è del tutto naturale, soprattutto in virtù della già menzionata complessità e vitalità della materia.

    A proposito delle cappelle Sistina e Paolina, che abbiamo avuto il piacere e l’onore di visitare proprio poche settimane fa, tutto ciò che Sua Santità decide di realizzare non può che essere oggetto della nostra ammirazione e della nostra piena attenzione, ma la conoscenza di quei luoghi non aggiunge nulla a ciò che il Pontefice ha già ampiamente detto e scritto e che troppi travisano. A noi pare che l’operazione che pur con tanta passione lei sta compiendo sia destinata a produrre ben pochi frutti: se fossimo apprendisti operai, e ci rendessimo conto che i primi filari di mattoni del nostro muro non sono disposti a regola d’arte, lei crede che tornerebbero a posto per il semplice e magico influsso delle nostre lamentele? Non sarebbe più opportuno insistere, continuare a disporre mattoni l’uno sull’altro, così da acquisire quell’esperienza che sola può garantire la bontà dei risultati?
    Nessuna riforma liturgica, compresa quell’ultima che ha avuto il pregio, come scrive lo stesso Pontefice, di riscoprire la bellezza e la grandezza della liturgia, si attua in assenza di attriti, errori e mosse azzardate, ma se davvero desideriamo produrre frutti duraturi, ferma restando la tutela dei dogmi della fede e della nostra tradizione, allora è di gran lunga più utile darsi concretamente da fare, mettersi alla prova, approfondire gli studi e porsi in ascolto fiducioso delle diverse sensibilità, nella certezza che tutto ciò che è Buono, Vero e Giusto è destinato a conquistare tutti gli uomini di buona fede.
    Ciò che lei scrive, infine, a proposito della volontà di “demolire i presbiteri ancorandoli al luogo dell’adunanza dell’assemblea”, ci appare quantomeno approssimativo, poichè l’argomento è decisamente più complesso, articolato e meritevole di attenzione; ma questa è un’altra storia, e un semplice blog non è certo il luogo adatto ad affrontarla.

  • Francesco Colafemmina ha detto:

    Carissimi,

    Partiamo dalla Sacramentum Caritatis. Il testo ufficiale recita:
    opportunum est eadem uti structura ad servandam et adorandam Eucharistiam, dum impeditur ne celebrantis sedes ante eam collocetur. Tradotto: “è opportuno continuare ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione dell’Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante.”
    Ciò che è opportuno per il Papa – pur non essendo un ordine imperativo – dovrebbe generare domande e possibilmente obbedienti risposte in coloro che lo dovrebbero ascoltare (i vescovi, trattandosi di esortazione ad essi indirizzata). D’altronde la successiva affermazione è forte: impeditur ne celebrantis sedes ante eam collocetur!
    Non dice – beh su, se possibile, togliete quelle brutte sedi dei “presidenti” manco fossimo a un congresso del PCI -, ma dice chiaramente: si impedisca che si collochino queste sedi dinanzi all’altare con tabernacolo.

    Mi spiace poi dover correggere proprio voi che siete esperti, ma quando il testo del par. 69 afferma che bisogna valutare i singoli casi fa seguire i due punti, introducendo appunto varie casistiche.
    1. chiesa antica con altare e tabernacolo
    2. chiesa nuova con cappella eucaristica
    3. chiesa nuova senza cappella eucaristica
    Non intende affatto affermare che “ciascun edificio, specie se antico e ampiamente rimaneggiato, è un universo a sè stante da interpretare e valorizzare con la massima sensibilità liturgica e architettonica.” Anche perché voi stessi dite che non si tratta di “interpretare” o sbaglio?

    Quanto poi alla decisione spettante all’Ordinario del luogo, questo è palmare, ma non vi è una conflittualità di giudizi, semplicemente un richiamo alla norma canonica. Quella frase vuol dire che l’ultima parola non la hanno né gli architetti, né i fedeli, né i sacerdoti ma l’autorità somma nel luogo, ossia il Vescovo. Piccolo dettaglio: il Vescovo deve essere obbediente al Romano Pontefice (can.705) sicché la stranezza sta nel fatto che i Vescovi quelle opportunità e quegli impedimenti indicati dal Papa li snobbino altamente. Nel paradosso si tende quindi a leggere una postilla dirimente in questioni di modifica dell’arredo liturgico (onde evitare i soliti conflitti d’autorità che si scatenano in questi casi) come un potere arbitrario di gestire l’arredo sacro “a gusto proprio” conferito ai Vescovi.

    Sulla questione dell’Introduzione allo spirito della liturgia, beh… che dire? Voi ad Alba avete fatto posizionare una croce al centro dell’altare? No? E perché? Perché il libro di Ratzinger contiene suggerimenti? … mmm… interesting! Tuttavia il Papa celebra spesso ad orientem e pone sempre sull’altare una grande croce centrale. Lo stesso Papa non indossa più paramenti esuberanti ed astratti e non imbraccia più il pastorale di Pericle Fazzini. Direte: “è il suo gusto… Ognuno è libero di avere il suo”. Può darsi, ma è inutile fingere di essere ratzingeriani, di apprezzare la riforma della riforma, quando in realtà si perseguono le solite strade ideologiche degli ultimi 50 anni. Il Papa lancia dei messaggi molto forti e se sono in pochi a raccoglierli, non importa, ma che almeno ci si renda conto con equanimità che sono messaggi non ambigui e non interpretabili a seconda delle convenienze.

    Le norme della CEI sono a mio (e non solo mio) parere obsolete non solo perché non recepiscono la SC e altri responsi del Culto Divino, ma soprattutto perché confliggono con il Motu Proprio Summorum Pontificum. O gli altari preconciliari li lascio stare oppure non posso celebrare secondo il rito antico.

    Sono d’accordo con voi. Il mio lavoro è del tutto inutile. Non a caso nonostante siano innumerevoli i fedeli disgustati dagli abomini liturgici e architettonici compiuti con sempre più fantasiosa libertà, i Vescovi continuano ad ignorare i fedeli (vedi casi di Oristano e Iglesias ad esempio). E d’altra parte anche gli architetti, tutti compresi della loro autocelebrazione, spesso dimenticano che non è nelle loro mani il destino della preghiera dei fedeli. Che non è loro compito “educare” i fedeli ad una nuova lettura dei canoni estetici contemporanei. Che l’intellettualismo ormai privo di buon senso comune si fa elitaria tirannia, imponendo alle masse dei fedeli chiese e adeguamenti liturgici aberranti.

    Se è vero che la Tradizione della Chiesa Cattolica è materia viva, come anche la liturgia e il rito, non è opportuno tuttavia intendere questa vitalità in divenire come se il suo Protagonista non vi fosse. Il divenire dipende solo da Lui e dal compimento mancato della storia che va verso di Lui. Perciò la Chiesa non può vivere di contrapposizioni fra prima e dopo, ma vive di continuità. Ora la continuità non implica le trasformazioni dialettiche. Potremmo discutere quindi ore ore ed ore, ma se non mettiamo al centro del nostro pensiero e dei nostri occhi Cristo, allora avremo solo detto parole inutili e costruito coi mattoncini del lego belle costruzioni perché ci giochino i bambini, ma mai edifici che siano dimore del Signore.

    Vedete, non è accettabile, a mio modestissimo parere, oscurare il presbiterio antico eliminando l’altare. Ed è inutile che ci giriamo intorno. Il punto è questo. Ad Alba avete dunque perseguito una strada che nega la storia, che ignora tutto ciò che Ratzinger afferma in quel capitolo citato. L’abside, il luogo verso cui s’indirizza la navata, la nave dei fedeli in attesa del ritorno del Cristo, ora ha perso il suo autentico senso. E quel senso non è storicamente limitato, ma permane ancora oggi. Così non c’è nessuna ragione contingente sotto il profilo storico liturgico per spostare un altare nel transetto, per avvilire il presbiterio trasformando l’intero assetto di una chiesa nella quale si celebra lo stesso sacrificio di Cristo. Così facendo, avete solo acuito la percezione della rottura liturgica, ignorando completamente ciò che Ratzinger va dicendo in merito sin dal dicembre 2005.

    E la responsabilità in fondo non è vostra ma del Vescovo che aveva già stabilito un simile disordine spaziale in precedenza. Dunque inutile che vi scandializziate per il sarcasmo che ho usato in quel mio articolo. Continuerei ad usarlo altrettante volte quando si usa il denaro dei fedeli, anche il mio di contribuente che versa l’8 per mille alla Chiesa, per realizzare pervertimenti architettonico-artistico-liturgici del genere.

    Scusate infine se un inesperto come me, un comune mortale, si è permesso di affermare queste opinioni, che derivano evidentemente, come avete ampiamente dimostrato, dalla mia ignoranza in materia, e da un certo mio masochismo nel fare lavori inutili, etc. e scusate anche se ho affrontato l’argomento presbiterio da ancorare etc. in maniera approssimativa, e poco articolabile su un blog: ringrazio comunque per la cortesia che avete voluto accordarmi e vi saluto cordialmente.

  • Francesco Colafemmina ha detto:

    P.S. non mi consta che l’altare rappresenti l’altra soglia. Altare viene dal latino ara alta: altaris. E’ pertanto un luogo sopraelevato per il sacrificio (vedi ad. es. l’ara pacis augustea). Ciò a maggior ragione pone la questione dell’altezza dell’altare. Perciò si edificavano i presbiteri in quel modo: non come palcoscenici di un congresso politico dove sistemare le sedi di presidenti ed assistenti, ma quali luoghi eminentemente sacri (per via della presenza eucaristica vivente) e dunque distaccati dal livello del suolo. Luoghi che riprendevano la tradizione sia greco romana che ebraica di riservare solo ai sacerdoti l’accesso alla parte più interna del tempio…

    P.s. 2 San Pio V non ha creato una nuova liturgia e il rito tridentino non è una nuova liturgia. Piuttosto Pio V raccolse in un unico messale le varie versioni localistiche del rito che tuttavia non si differenziavano nella loro essenzialità. Dunque è falso affermare che il rito tridentino e la riforma artistico architettonico di San Carlo Borromeo siano degli “strappi”. Tutto il contrario. San Carlo nel riferire i suoi principi per l’edificazione di nuove chiese si basa sulla tradizione (ma che brutta parola!)…

  • ctonia ha detto:

    Ritenendo di aver già precisato abbastanza ciò che era opportuno precisare, e appurato che alla serena riflessione continua a preferire stanchi e inapplicabili manicheismi, rispondiamo solo con alcune domande:

    Ad Alba le risulta ci sia una cattedra davanti al tabernacolo?

    Ha mai affrontato un progetto architettonico, cioè la concreta traduzione in forma della teoria? A noi sembrerebbe di no, non a caso insiste nel ragionare “a quadretti”, come se un qualsivoglia testo potesse passare in rassegna ogni singola sfaccettatura della realtà: cosa farebbe, ad esempio, in una delle numerosissime chiese che conservano sia uno strepitoso altare tridentino che una favolosa cappella del Santissimo Sacramento? Rinuncerebbe forse ad agire perchè Sacramentum Caritatis 69 manca di precisare questa specifica possibilità?

    Lei è davvero così convinto di potersi ergere a interprete e difensore del pensiero di Sua Santità? Perchè noi continuiamo a ritenere, abbia pazienza, che non solo il Pontefice non abbia bisogno di pretoriani di sorta, ma che la sua lettura di Sacramentum Caritatis 69 sia un teorema forse rassicurante ma spesso inapplicabile e anche parecchio riduttivo; nel dubbio, la mossa migliore sarebbe al limite sincerarsi della questione direttamente con l’autore, non crede?

    Ha davvero letto con attenzione la nostra prima risposta? Perchè a noi sembrava di essere stati chiari: ad Alba, con la sua specifica comunità, il suo vescovo, e i suoi presbiteri, lei avrebbe ritenuto più decoroso continuare a celebrare su moquette e altare di legno e in assenza di un ambone? Quanto e come valuta il sentire della comunità? E soprattutto, crede davvero che le tensioni interne alla chiesa, che lei ama evidentemente rinfocolare più che risolvere, debbano andare a carico di fedeli, architetti, artisti o chissà chi altro? Crede realmente che questioni così annose e scottanti si possano risolvere in un baleno o a forza di insulti e invettive? A noi architetti è stato proposto un preciso tema progettuale che riteniamo di aver svolto, in quel momento, al meglio delle nostre possibilità. Non è mai stata nostra intenzione, nè avrebbe potuto essere diversamente, occuparci delle diatribe interne alla gerarchia ecclesiastica o dei massimi sistemi.

    Ci ha per caso mai chiesto come, quando, per volontà di chi e a seguito di quali passaggi sia stata maturata la decisione, ad Alba, di optare per una croce astile? Non ci risulta, ma visto che ha già tratto le sue conclusioni, abbia nuovamente pazienza, ci pare inutile aprire la questione.

    Ha mai provato a prendere un po’ di confidenza con quel mondo delle figure che sta alla base di un progetto? Perchè vede, certamente nell’architettura e nell’arte contemporanea c’è molto da resettare, ma nè l’una nè l’altra possono rinunciare a evolversi, anche al prezzo di qualche errore: errori che Nostro Signore guarderà certamente con compassione maggiore della sua, e magari con un sorriso, purchè ci sia la buona fede. Quindi lei può anche continuare a stracciarsi le vesti per gli scempi e le brutture che ci circondano, ma quel che è certo è che nulla di tutto questo si risolverà come lei dice: ci vorranno studio, formazione, disponibilità al dialogo e tanto, tanto tempo.

    Le risulta che quello che segnala sia davvero l’unico “punto” a proposito del quale i documenti ufficiali della Chiesa dimostrano qualche lieve incoerenza?

    A proposito poi delle due note pastorali: se lei a distanza di quindici anni si sente in grado di produrre qualcosa di meglio, perchè non lo fa e non si propone? Il suo sforzo sarebbe certamente apprezzato. Noi preferiamo che a questo provvedano, come sempre è stato, le gerarchie ecclesiastiche, e nel frattempo, fermi restando pregi e limiti dei due documenti, preferiamo esprimere massima gratitudine nei confronti di coloro che, in un momento storico in cui lo stesso clero faticava a ricordare cosa fosse un ambone, hanno iniziato a mettere ordine in questa complessa materia scrivendo finalmente nero su bianco e producendo così materiale trasmissibile.

    Quanto all’essere o non essere “ratzingeriani”, espressione a nostro avviso persino irriverente, questo è il suo modo di ragionare, non il nostro. La fedeltà alla Chiesa va molto al di là della persona del singolo pontefice, abbraccia l’intera storia, ma se può rassicurarla ci sentiamo sinceramente e profondamente vicini a questo Papa e felicissimi e rispettosi del suo operato, e se anche a lei la cosa non “torna”, perchè non corrispondente ai rassicuranti “quadretti” di cui sopra, insomma, ce ne faremo una ragione. Come dire: si può essere “di destra”, si può essere “di sinistra”, ma grazie al cielo si può essere anche liberi e profondamente fedeli alla Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana.

    Lei è così sicuro, piuttosto, di aver messo al centro della sua “battaglia” davvero il Signore? Perchè il tono del suo parlare, l’approccio, il sarcasmo, il dileggio, l’abitudine a giudicare ciò che non ha nemmeno provato ad osservare, capire e sperimentare, l’insistenza nel parlare, lei sì, in modo ideologico, l’alternanza ripetuta di falsa modestia e ostentazione, lascerebbero pensare, in tutta onestà, a qualcosa di ben diverso. Da parte nostra non possiamo che augurarle che venga il giorno in cui riuscirà a orientare diversamente, e in modo certamente più proficuo, tutte queste energie.

    Cordialità.

    P.S. La pregheremmo di evitare il continuo sovvertimento delle nostre parole: oggettivamente non è utile. Che il rito tridentino sia stato uno “strappo liturgico” lo ha detto lei, non noi. La nostra riflessione era squisitamente architettonica: un adeguamento liturgico è spesso uno strappo, piccolo o grande che sia, e l’inserimento di impegnative scenografie tridentine in chiese nate all’epoca di una diversa ritualità è stato, in molti casi, un’operazione di violenza inaudita. Nè più nè meno, del resto, di quanto ripetutamente accaduto sia prima che dopo. Per convincersi della questione, qualora i libri disponibili non fossero
    esaustivi, basterebbe visitare un paio di cantieri di restauro scelti ad hoc.

    P.S.2 Il velo del tempio si è squarciato (a lei il commento), e l’altare, come recitano tutti i documenti disponibili nonchè la fondamentale e vastissima opera del nostro Pontefice, è al contempo ara, mensa e soglia. Se a lei la cosa “non consta”, o magari non si adegua abbastanza alle sue ideologie, è padrone di trascurarla, minimizzarla, ignorarla, ritenerla inattendibile. Viviamo in un paese libero. In ultimo, e proprio in virtù del rispetto assoluto che nutriamo nei confronti di tutto ciò che è tradizione, non possiamo non sottolineare quanto segue: il modo migliore di uccidere la tradizione è fare esattamente come lei propone, cioè custodirla come un vecchio e ammuffito pezzo da museo.

  • Francesco Colafemmina ha detto:

    Miei cari o piuttosto mia cara Ctonia,

    vede, come al solito non mi ha risposto. Una domanda avevo fatto inizialmente: dove è scritto nei documenti del Concilio che il presbiterio dev’essere privato della sua funzione e che l’altare dev’essere spostato al centro della chiesa, anzi nel transetto. Non mi interessa che questa decisione non sia stata presa da voi, dal vescovo o da pinco pallo. Mi interessa solo la questione in sé. Ed è questa la ragione che mi indusse a scrivere quell’articolo.
    Altra ragione fu la vista di quella specie di ragnatela fosforescente. Sarà un “vituperio” definirla una pacchianata o un orrore? A me non sembra, e non dovrebbe sembrare neanche a voi, visto che proporre una roba del genere significa provocare in un modo o nell’altro con una innovazione contemporanea in una chiesa antica e non mi sembrate così ingenui da non aver considerato l’audacia di una tale scelta. Stop.

    Tutta la valanga di parole per dimostrare la vostra saggezza, competenza, altezza spirituale e balle varie, devo ritenerla un metodo piuttosto raffinato per dire:”ah, ma lo vedete questo ignorante che non è manco andato a vederla quella chiesa e parla a vuoto! Diamogli una lezione! Facciamogli capire con chi ha a che fare!”

    Questo atteggiamento nato da un totale travisamento del mio stile volutamente polemico e critico in una realtà anestetizzata dalle consorterie e dai finanziamenti dell’8 per mille, dimostra che non c’è alcuna voglia di comprendere le mie posizioni e quelle delle migliaia di lettori di Fides et Forma, ma soltanto un desiderio di esibirsi in questa dotta capacità di discernimento liturgico. Tanti auguri!

    Quanto alla questione del Papa, mi dispiace coinvolgerlo così. Ma visto che ne ho citato in un commento l’esempio raramente seguito dai vescovi, mi è sembrato utile evitarvi la fatica di voler apparire “ratzingeriani” (un termine che non riferivo a me stesso) quando in realtà siete solo fedeli a voi stessi, alla vostra somma sapienza e alla vostra esclusiva capacità di interpretare la liturgia, la vita della Chiesa e il destino di arte e architettura sacra.

    Se un laico come me che di quell’arte e di quell’architettura è semplice fruitore per l’ausilio alla preghiera e in fondo per la salvezza della propria anima di peccatore, si permette di declinare una serie di aggettivi negativi, di sarcasmo così insopportabile nei riguardi di vostre discutibilissime creazioni, non solo lo accusate di essere una specie di passatista pretoriano etc. etc. ma avete anche la faccia tosta di non rispondere alle domande, considerandolo superfluo… Anzi siete voi a porle con un tono un tantino inquisitorio e supponente.

    Badate che qualche risata vi farebbe bene! Guardate più spesso i Simpson, doh!

    Senza rancore né antipatia, ma solo con tenerezza, vi saluto caramente,

    Francesco

  • ctonia ha detto:

    Caro Colafemmina,
    se pur con tutte le precisazioni e ripetizioni non è stato in grado di comprendere le nostre risposte, tanto da scrivere che non le abbiamo fornite, possiamo solo suggerirle di rileggere meglio, troverà tutto quello che cerca. Piuttosto le chiediamo: com’è che ha smarrito per strada tutte le nostre osservazioni e contro-domande? Non erano di suo gradimento?
    Le rispondiamo comunque nuovamente, sebbene in modo più sintetico:

    – non esistono documenti della chiesa cattolica che impongano a progettisti e committenti un “dover essere” architettonico. I testi ai quali è possibile attingere suggeriscono, innanzitutto, il senso simbolico e liturgico delle scelte da operare, lasciando una cattolicissima e difficile – ma intellettualmente e spiritualmente entusiasmante – libertà (relativa) a chi, a diverso titolo, dovrà affrontare la complessità di un progetto. Certo, sarebbe stato più comodo un elenco di “comandamenti architettonici”, ma la competenza e lungimiranza di chi produce documenti ufficiali sa distinguere bene tra questioni di fede e questioni altre, tra normativa e trasmissione di un metodo. Dove lei vede degli obblighi, noi vediamo qualcosa di molto più utile e ricco di senso: un insieme di limiti, questi sì da rispettare, che tuttavia non potranno mai fornire la “ricetta” di un progetto.

    – forse le è sfuggito che da qualche settimana impieghiamo il nostro tempo per commentare seriamente, con attenzione e in pubblico un suo articolo pieno solo di berci e insulti. Glielo ricordiamo di nuovo, con tenerezza.

    – quando si entra nel merito delle questioni, concedendosi anche la libertà di offendere gratuitamente, ci vuole almeno un minimo di stile: quindi abbia almeno la decenza di non nascondersi dietro un dito cercando di sovvertire il pensiero altrui. A noi non importa affatto di ciò che lei pensa del nostro lavoro, lei è libero di dipingerlo con i colori e attributi che desidera, e sino a prova contraria abbiamo accolto nel nostro blog tutto il suo sproloquio, dalla prima all’ultima parola, peraltro non ricambiati dalla stessa cortesia. Pensandola molto diversamente da lei, non abbiamo affatto l’abitudine di investire di insulti chi è portatore di idee diverse dalle nostre, e infatti gli attributi che lei maliziosamente cita applicandoli alla sua persona (pretoriano e passatista) erano contenuti all’interno di due frasi chiarissime: “continuiamo a ritenere, abbia pazienza, che non solo il Pontefice non abbia bisogno di pretoriani di sorta, ma che la sua lettura di Sacramentum Caritatis 69 sia un teorema forse rassicurante ma spesso inapplicabile e anche parecchio riduttivo”; “l’arte del celebrare non “va” riadattata a seconda delle epoche come se si trattasse di una moda o di un obbligo irrinunciabile teso ad evitare accuse di passatismo, ma si rinnova naturalmente e spontaneamente per il fatto stesso di essere materia viva, cuore pulsante di una vita comunitaria autentica.” Questi ed altri “giochetti” che per brevità evitiamo di enumerare dimostrano, gentile signore, che lei ha volutamente mentito cercando di far passare per nostro un atteggiamento che è solo ed esclusivamente suo, e tentando così di insabbiare, malamente, i suoi eccessi. Davvero poco carino. A tal proposito si rilegga anche ciò che ha scritto circa i documenti del Pontefice, e scoprirà che le sue parole non sono affatto equivocabili: ha chiaramente affermato che le uniche interpretazioni certe sono le sue. Beh, i nostri più vivi complimenti. Noi però non nutriamo questa ambizione; preferiamo, più semplicemente, essere umili ascoltatori, proporre al dibattito le nostre idee e continuare ad approfondire l’argomento per poter crescere. Insomma, se fosse necessario ripeterlo, caro Signor Colafemmina, quello dell’insulto è il suo stile, non il nostro, e chiunque potrà verificare, allo stesso modo, chi abbia dimostrato supponenza, orgoglio o volontà di ostentazione (non erano forse sue le citazioni in latino, e suoi gli iniziali riferimenti a precisi documenti?) Siamo invece convinti, ma questa non è una parolaccia, che il suo modo di ragionare sia un tantino ideologico, questo sì. E lo ripetiamo con anche maggior convinzione.

    Detto ciò, ci perdoneranno anche i pochissimi e variamente orientati lettori del nostro blog, consideriamo chiuso questo appassionante ma purtroppo sterile confronto. Le migliaia di fedelissimi di Fides et Forma, certamente più avvezzi al genere, saranno certamente felici di godere nuovamente del suo sferzante umorismo. Del resto si sa: a giocare “in famiglia” si esce sempre vincitori. Resta solo da chiedersi se serva a qualcosa.

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Stai leggendo Non l’ho visto e non mi piace. L’approfondita e raffinata critica liturgico-architettonica elaborata da Francesco Colafemmina sul nostro lavoro di Alba su C T O N I A.

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